Moai: Una soluzione per l’enigma delle statue di Rapa Nui

Le enigmatiche statue dell’isola di Pasqua sorgono in corrispondenza delle sorgenti di acqua dolce, fondamentali per il sostentamento. Lo ha stabilito un nuovo modello quantitativo, che offre anche un’interpretazione del significato dei misteriosi monumenti: probabilmente rappresentavano antenati divinizzati e celebravano la condivisione quotidiana delle risorse.

L’Isola di Pasqua, o Rapa Nui, secondo il suo nome indigeno, si trova a 3600 chilometri a ovest delle coste del Cile ed è famosa per la straordinaria ed enigmatica testimonianza archeologica di un’antica popolazione che vi era insediata: circa 900 gigantesche statue antropomorfe, i moai, che si ergono su piedistalli di pietra chiamati ahu.

La realizzazione di queste opere, datate tra il XIII e il XVI secolo, richiese certamente una quantità enorme di tempo e di energie, ma il loro significato non è noto.

Sulla rivista “PLOS ONE”, un gruppo internazionale di ricerca guidato da Matthew Becker della California State University a Long Beach propone ora una spiegazione della distribuzione delle statue nell’isola: sorgono tutte in corrispondenza delle risorsa più preziosa per la sussistenza degli abitanti, vale a dire l’acqua dolce.

“La questione della disponibilità di acqua o della sua mancanza è stata spesso citata dai ricercatori che studiano i resti di Rapa Nui”, spiega Carl Lipo, antropologo della Binghamton University. “Quando abbiamo iniziato a esaminare i dettagli dell’idrologia dell’isola, abbiamo notato che durante la bassa marea le sorgenti d’acqua emergevani in alcuni punti lungo la costa, che non sono certo evidenti a prima vista”.

Studiando le aree intorno agli ahu, i ricercatori hanno poi verificato che si trovano esattamente in corrispondenza dei siti in cui emerge l’acqua di falda. E più si approfondivano le ricerche, più lo schema appariva coerente.

“Molti ricercatori, compresi noi, hanno a lungo ipotizzato una correlazione tra i monumenti e diversi tipi di risorse, come acqua, terreni agricoli e risorse marine”, aggiunge Robert Di Napoli ricercatore dell’Università dell’Oregon e autore principale dello studio. “Tuttavia, queste correlazioni non sono mai state verificate quantitativamente o si sono rivelate non significative statisticamente: il nostro studio è basato su un modello spaziale quantitativo che mostra chiaramente che gli ahu sono associati a fonti di acqua dolce in un modo che non avviene per altre risorse”.

Gli autori danno anche un’interpretazione del significato delle statue, che getta una luce sul tipo di società dell’isola.

“I monumenti si trovano in luoghi con accesso a una risorsa fondamentale per gli isolani: le statue rappresentavano probabilmente antenati divinizzati e celebravano di condivisione quotidiana dell’acqua e anche del cibo, avvenuta per generazioni; questa conoscenza era basata sui legami familiari e sociali, così come sul patrimonio culturale, che rafforzava la conoscenza della precario sostentamento sull’isola”, spiega Terry Hunt ricercatore dell’Università dell’Arizona, coautore dell’articolo, sottolineando come questo sia un aspetto cruciale per spiegare il paradosso dell’isola. “Nonostante le risorse limitate, gli isolani riuscirono a condividere attività, conoscenze e risorse per oltre 500 anni”.

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