Sapevi che la data dell’ 11 settembre non è casuale?

Sulla distruzione delle torri gemelle dell’isola di Manhattan ne abbiamo sentite davvero di tutti i colori, prima le dichiarazioni della politica, poi man mano che che il fervore si è affievolito, sono spuntati centinaia di blog, sedicenti ingegneri, che in diversi talk show trasmessi in tutto il mondo discutevano animatamente su come è possibile che la più grande potenza occidentale si fosse fatta fregare 4 aerei di linea, di cui due schiantati sulle torri, uno (forse) sul pentagono, e uno schiantato al suolo per un gesto eroico dei suoi passeggeri.

Abbiamo sentito centinaia di ipotesi, da quelle “governative”, sino a quelle cabalistiche.

Ci sono stati mostrati centinaia di video in tempo reale e poi ricostruzioni che simulavano su come era possibile che un’aereo avesse le capacità di tranciare dei sostegni di metallo e come questo poteva fondersi, a quali temperature, ecc. Non credo che troveremo presto una risposta a tutto ciò. Ma a distanza di più di un decennio, le conseguenze storiche di quell’evento sono sotto gli occhi di tutti; la guerra in Iraq-Afganistan, poi la Libia hanno portato la falsa speranza delle primavere arabe, e da qui la rinascita dei movimenti radicali sunniti e salafiti che conducono sino alla guerriglia per la formazione dello stato islamico, che porta le sue radici storiche sino alla Cecenia ed alla guerra dei balcani.

Premesso questo, che pare solo il solito gran caos globale, per chi ha conoscenza in storia, non è sfuggito comunque la similarità con un antica data, un po per caso, un po per -strana dimenticanza, la data e quella dell’11 settembre 1683. In quella data si è combattuta la più grande guerra dopo quelle persiane, e lo scopo ultimo era quella di invadere l’europa, e forse giungere proprio fino a Roma.

La battaglia di Vienna ebbe luogo l’11 e il 12 settembre 1683 e pose fine a due mesi di assedio posto dall’esercito turco alla città di Vienna.

Questa battaglia campale fu combattuta dall’esercito polacco-austro-tedesco comandato dal re polacco Giovanni III Sobieski contro l’esercito dell’Impero ottomano comandato dal Gran Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pasha, e fu l’evento decisivo delle guerra, conclusasi definitivamente con la firma del Trattato di Karlowitz.

L’assedio di Vienna fu posto a partire dal 14 luglio 1683 dall’esercito dell’Impero Ottomano, composto da circa 140 000 uomini. La battaglia decisiva cominciò l’11 settembre, quando cioè si concluse il raggruppamento dei rinforzi dalla Polonia, comandati da Sobieski stesso, dalla Germania e dal resto dell’Austria, oltre alle forze presenti nella città.

L’imperatore Leopoldo I si era rifugiato a Passavia, da cui dirigeva l’attività diplomatica (sostenuto dalla diplomazia del papa Innocenzo XI) indispensabile per tenere unito un esercito variegato in un momento tanto drammatico; di conseguenza i capi militari della città non esitarono a conferire a Sobieski il comando dell’esercito composto da 75/80 000 uomini, contro 140 000 ottomani che avevano invaso l’Austria. La maggior parte di essi tuttavia non si trovava a Vienna il giorno della battaglia.

Le forze cristiane, appena arrivate, conoscevano malissimo il territorio, mentre i soldati all’interno della città erano mal ridotti a causa dei due mesi d’assedio. Buona parte dell’esercito ottomano aveva comunque una scarsissima preparazione militare, e alcuni contingenti ottomani (come i tartari e i magiari) parteciparono solo in maniera indiretta alla battaglia e all’assedio, limitandosi a saccheggiare i territori circostanti e a compiere incursioni. Durante la battaglia l’esercito ottomano non si riunì, ma inviò un corpo ad affrontare i polacco-imperiali, mentre altre truppe continuavano ad assediare la città.

In pratica la battaglia fu uno scontro fra i polacchi e la parte militarmente più capace dell’esercito del Gran Vizir, che quindi si trovò a combattere in condizioni di rilevante inferiorità e di stanchezza, visto che combatteva da giugno contro la guarnigione di Vienna ed era stato indebolito da diverse epidemie, soprattutto di dissenteria.

La battaglia ebbe inizio all’alba, subito dopo la messa celebrata da Marco d’Aviano. Furono i Turchi ad aprire le ostilità nel tentativo di interrompere il dispiegamento di forze che la lega santa stava ancora ultimando. Carlo di Lorena ed i tedeschi rintuzzarono l’attacco in attesa che Sobieski ed i suoi fossero pronti.

Kara Mustafa ancora una volta rinunciò ad ingaggiar battaglia sperando di riuscire a entrare in Vienna in extremis, lasciando così altro tempo alle forze cristiane di ultimare il dispiegamento. Ma ormai le sorti volgevano decisamente in favore degli occidentali, e addirittura gli assediati, galvanizzati dall’arrivo dei rinforzi, attaccavano le file turche. La battaglia era cominciata, furibonda come e più del previsto. I turchi pagarono subito l’errore di non essersi preparati a difendersi dalle forze provenienti dal nord, trovandosi di fatto con l’élite dell’esercito (i Giannizzeri) schierati dove non serviva, cioè presso le mura che erano ancora in piedi, e le retroguardie difese solo da truppe poco preparate. A questo punto Kara Mustafa capì che la battaglia era persa, e tentò con tutte le forze di vendere cara la pelle, cioè prendere Vienna, complicando così di molto i piani della Lega Santa e soprattutto infliggendole lo smacco di entrare in città proprio mentre la battaglia volgeva a favore dei cristiani. Inoltre i generali turchi capivano perfettamente che quel politicante non si rendeva conto di quello che faceva. Molti di loro intervennero in maniera corretta per approfittare delle falle nell’attacco cristiano, per altro mal condotto e mal organizzato perché nessuno dei generali cristiani era abituato a muovere eserciti così grossi, formati da una coalizione disomogenea per lingua e religione, e privi di un comando centrale organizzato, tuttavia le controffensive turche fallivano una dopo l’altra: se gli assalti si rivelavano infatti ben azzeccati e ben diretti, d’altro canto la mancanza di riserve, il caos nelle retrovie e l’assenza di ordini faceva sì che i turchi vittoriosi si ritrovassero circondati, e finivano con l’essere eliminati un po’ alla volta, in scontri molto violenti e molto confusi.

Ma ancora l’esercito cristiano non aveva giocato la sua carta più forte: la cavalleria polacca. Nel tardo pomeriggio dopo aver seguito dalla collina l’andamento dello scontro 4 corpi di cavalleria (1 tedesca e 3 polacche) scesero all’attacco a passo di carica. L’attacco fu condotto da Sobieski in persona e dai suoi 3000 Ussari. La carica sbaragliò definitivamente l’esercito turco, mentre gli assediati uscirono dalle mura a raggiungere i rinforzi che già inseguivano gli ottomani in rotta. Il cronista turco Mehmed, der Silihdar così commentò l’arrivo dell’armata del Sobieski:

« Gli infedeli spuntarono sui pendii con le loro divisioni come nuvole di un temporale, ricoperti di un metallo blu. Arrivavano con un’ala di fronte ai valacchi e moldavi addossati ad una riva del Danubio e con l’altra ala fino all’estremità delle divisioni tartare, coprivano il monte ed il piano formando un fronte di combattimento simile ad una falce. Era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para innanzi. »
(Mehmed, der Silihdar, così da Richard F. Kreutel, Karamustapha vor Wien. Das türkische Tagebuch der Belagerung, (Graz 1955))

La battaglia di Vienna vide anche l’esordio in combattimento di un futuro, grande condottiero: Eugenio di Savoia.

È storicamente provato che un notevole contributo alla vittoria di Sobieski fu arrecato dal graduato polacco Franciszek Jerzy (= Giorgio) Kulczycki, che svolse attività di spionaggio trafficando con i turchi in sacchi di caffè, ma in realtà fornendo al comando polacco notizie sulla dislocazione delle truppe turche e sui loro movimenti. Finito l’assedio Jan III lo ricompensò con una scritta sul suo stemma di famiglia: Salus Vienna Tua, nonché donandogli tutto il caffè abbandonato dalle truppe ottomane.

I turchi persero circa 15 000 uomini, a fronte dei 2 000 dei cristiani, i quali recuperarono anche una gran parte del bottino accumulato dagli ottomani nel corso delle loro scorrerie nei Balcani.

Kara Mustafa pagò con la vita i suoi errori strategici e soprattutto tattici: il 25 dicembre successivo, per ordine del Sultano Mehmed IV, fu strangolato a Belgrado, che a sua volta si apprestava a capitolare. Subito prima aveva fatto impiccare Ibrhaim di Buda, privando così i turchi dell’unico generale che sarebbe riuscito a gestire la ritirata.

Conseguenze

La battaglia rappresentò il punto di svolta, a favore degli europei, delle guerre austro-turche. Infatti non solo segnò l’arresto della spinta espansionistica ottomana in Europa, ma anche l’inizio della loro estromissione dai Balcani: poco dopo infatti gli austriaci occuparono l’Ungheria e la Transilvania, firmando quindi nel 1699 la pace coi turchi (Trattato di Karlowitz).

A partire da questa guerra i giannizzeri iniziarono a diventare indisciplinati e riottosi, già da 60 anni non condividevano la politica del governo, che per ridurre il loro peso li inviava in guerre esterne dove sperava fossero massacrati. Questo tipo di comportamento venne sempre più considerato come inaccettabile, e i giannizzeri si trovarono coinvolti in decine di complotti (per lo più velleitari) contro il sultano. Contemporaneamente gli enormi sforzi finanziari che l’impero ottomano fu costretto a sostenere per difendersi dall’Austria iniziarono a danneggiare sempre più gravemente l’economia (già compromessa) dei Balcani, l’alta fiscalità era stata talvolta accettata nel primo seicento perché l’Impero ottomano voleva dire pace e commercio; adesso la guerra arrivava fino ai confini dell’Albania e della Bulgaria, e le tasse continuavano a salire, i cristiani (in particolar modo gli armeni e i cattolici) venivano visti sempre più con sospetto. Il brigantaggio, le rivolte (anche di sudditi musulmani, come gli Albanesi), e l’evasione fiscale si fecero pressanti, mentre il governo civile turco delle provincie danubiane si dimostrò o poco efficiente o molto corrotto rispetto a quello austriaco, (che però rimaneva meno tollerante dal punto di vista religioso) e tutto sommato anche del governo russo (un polo d’attrazione irresistibile per le popolazioni slave e greco ortodosse).

La situazione politica balcanica, già in crisi dal primo seicento, continuò a peggiorare, e sarebbe rimasta esplosiva ed instabile fino ai giorni nostri, solo nell’apparenza calme.

Questo articolo non ha lo scopo di dichiarare l’11 settembre americano come una false flag o come una dichiarazione di rivincita degli imperi medio-orientali sull’occidente, per questo parliamo di conseguenze storiche. Dalla Cecenia ai balcani con epicentro nell’antica mesopotamia si può comunque delineare un progetto unico, ormai evidente di modificare quei confini e quegli stati creati dopo la seconda guerra mondiale.

Non possiamo fare altro che osservare come spettatori passivi -le conseguenze storiche di tutto questo.

R.R.

1,783 Visite totali, 1 visite odierne

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.