Nuove scoperte: L’antimateria nelle nubi temporalesche

Nel 2009 un gruppo di fisici dell’atmosfera ha rilevato alcuni lampi gamma terrestri prodotti nelle nubi temporalesche e dotati di caratteristiche insolite. Il fenomeno è legato con tutta probabilità alla produzione di nubi di positroni, le antiparticelle degli elettroni, secondo un meccanismo che sfugge ancora a ogni spiegazione.

Non sono bastati cinque anni ai ricercatori dell’Università del New Hampshire per elaborare un modello in grado di spiegare come mai all’interno di una nube temporalesca si produca una nube di positroni, le antiparticelle degli elettroni, secondo un meccanismo diverso da quello già noto.

Il misterioso fenomeno, descritto sul “Journal of Plasma Physics” in un articolo a prima firma Joseph Dwyer, è stato rilevato per caso nell’agosto del 2009. Dwyer e colleghi erano in volo al largo delle coste della Georgia per condurre misurazioni dei cosiddetti lampi gamma terrestri, potenti emissioni di radiazione elettromagnetica che si producono nelle nubi temporalesche secondo un meccanismo fisico ancora non del tutto chiaro.

L'inspiegabile antimateria nelle nubi temporalesche
Temporale estivo in Arizona: i lampi sono la manifestazione più evidente degli intensi campi elettrici che si producono nelle nubi temporalesche (© Scott Stulberg/Corbis)

Quando interagiscono con l’aria, i lampi di raggi gamma hanno un’energia sufficiente a produrre coppie elettrone-positrone, l’antiparticella dell’elettrone. Secondo gli attuali modelli fisici tuttavia, la comparsa dei positroni dovrebbe essere concomitante all’emissione dei lampi gamma.

Nel volo di Dwyer però non è andata così: durante un violento temporale, gli strumenti hanno rilevato tre picchi nell’energia dei raggi gamma corrispondente a 511 chiloelettronvolt (migliaia di elettronvolt), vale a dire la “firma” caratteristica del processi di annichilazione tra elettroni e positroni. Ogni picco è durato circa un quinto di secondo, ed è stato accompagnato da alcuni raggi gamma di energia leggermente inferiore. I ricercatori hanno quindi concluso che quei raggi gamma avevano perso energia propagandosi per una certa distanza. Secondo i calcoli, per un breve arco di tempo una nube di positroni aveva circondato il velivolo.

“Avremmo dovuto vedere l’emissione di raggi gamma insieme a quella dei positroni”, ha spiegato Dwyer. “Eppure abbiamo visto una prima nube di positroni poi una seconda nube a distanza di circa sette chilometri dalla prima e infine abbiamo osservato un bagliore di raggi gamma. Per questo non riusciamo a dare un senso a tutto il processo”.

Una delle possibili spiegazioni dell’improvvisa apparizione dei positroni è che l’aeroplano abbia influenzato notevolmente l’ambiente elettrico del temporale, ma non esistono altri dati che possano suffragarla. È anche possibile che sia stato rilevato un tipo di scarica elettrica finora sconosciuto all’interno del lampo che coinvolge i positroni.

I dati disponibili, comunque, non consentono di fare ipotesi sull’origine del fenomeno. È per questo che Dwyer sta progettando di compiere nuove misurazioni direttamente dall’interno di un temporale. “L’interno di un temporale è un paesaggio bizzarro che abbiamo appena iniziato a esplorare”, ha concluso.

Tuoni, fulmini e…una pioggia di raggi gamma

Accelerate dagli imponenti campi elettrici presenti nelle nubi temporalesche, le particelle cariche che vi si trovano possono arrivare a emettere raggi gamma. Questi eventi, che durano da millisecondi a minuti, hanno anche energie molto variabili, e quanto più sono energetici tanto più piccola è la regione responsabile della loro generazione. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori giapponesi che ha seguito con appositi rilevatori gli eventi temporaleschi invernali di un tratto di costa del Giappone.

Un importante passo nella comprensione dei meccanismi responsabili dell’emissione di raggi gamma che si verifica in concomitanza con lo scoccare di fulmini – un fenomeno noto da tempo – è stato compiuto da un gruppo di ricercatori dell’Università dio Tokyo, del centro di ricerca Riken a Waco e della Japan Atomic Energy Agency, che firmano un articolo pubblicato sulle “Physical Review Letters”.

Gli impulsi di raggi gamma che sono stati osservati nel corso degli ultimi trent’anni hanno una durata molto variabile, da meno di un millisecondo ad alcuni minuti. Quale che sia lo loro durata, si ritiene che la loro emissione avvenga quando le particelle cariche presenti nelle nubi sono accelerate dagli enormi campi elettrici che si vanno accumulando nella formazione temporalesca. Tuttavia, l’esatto meccanismo di formazione non è ancora chiaro.

Tuoni, fulmini e...una pioggia di raggi gamma
© DiMaggio/Kalish/CORBIS

Sfruttando una serie di rilevatori di raggi gamma, i ricercatori giapponesi diretti da Harufumi Tsuchiya hanno tenuto sotto controllo la regione costiera del Mar del Giappone circostante al sito dell’impianto nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, registrando tutti gli eventi temporaleschi dell’inverno 2010.

Nell’esame dei dati, i ricercatori si sono concentrati su un evento del 29 dicembre 2010 durato circa tre minuti, durante il quale si è assistito a un progressiva intensificazione del fenomeno, con un incremento dell’energia dei fotoni da 40 chiloelettronvolt fino a 30 megaelettronvolt. Giunta al culmine, però, l’emissione è improvvisamente cessata 800 millisecondi prima che, a cinque chilometri dagli apparati di registrazione, scoccasse il fulmine. Il ritardo tra la fine dell’impulso di raggi gamma e il lampo suggerisce che l’innesco del fulmine avvenga a una certa distanza dal sito di accelerazione delle particelle.

Tuoni, fulmini e...una pioggia di raggi gamma
Ricostruzione di un’emissione temporalesca di raggi gamma (in rosso). Nel corso di questi eventi vengono emessi anche elettroni (in giallo) e, in misura minore, positroni. (Cortesia NASA/Goddard Space Flight Center/J. Dwyer, Florida Inst. of Technology)

La presenza di più rivelatori ha inoltre permesso di identificare l’esatta provenienza delle radiazioni, e di osservare una chiara differenza nella durata dei raggi gamma di energia compresa fra 3 e 10 megaelettronvolt e quelli di energia più elevata.

Ciò suggerisce, osservano i ricercatori, che l’area di emissione gamma a energie superiori ai dieci megaelettronvolt sia notevolmente inferiore a quella dei raggi gamma a bassa energia. In particolare, hanno calcolato che la regione responsabile di questo tipo di emissioni non si estendesse per più di 180 metri nella nube temporalesca.

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