Progetto Lazarus: Mammut, un passo più vicini alla clonazione

Lazarus Project: gli animali estinti torneranno in vita?

Un gruppo di scienziati australiani vuole riportare in vita due specie di rane a gestazione gastrica, estinte subito dopo la loro scoperta. Il progetto potrebbe riportare in vita animali estinti da secoli: dal mammuth al dodo.

Immaginate una rana che dopo aver deposto le uova le inghiotte, le cova nello stomaco e quando si schiudono “partorisce” i piccoli espellendoli dalla bocca. No, non è la protagonista di un film horror di serie B ma la Rheobatrachus silus, una piccola rana australiana dichiarata estinta nel 1983. Un team di scienziati dell’Università del Nuovo Galles del Sud (Australia) sta però lavorando ormai da qualche anno per riportare in vita questo curioso batrace grazie ad una tecnica di clonazione che sa di Jurassik Park: è il progetto Lazarus.

CELLULE MORTE, ANZI ZOMBIE. L’idea di Michael Archer e dei suoi colleghi è quella di sostituire i nuclei cellulari presenti nelle uova di una rana donatrice vivente, con quelli prelevati da campioni della specie estinta. Alcune delle uova sottoposte a questo speciale trattamento hanno iniziato spontaneamente il processo di divisione cellulare e si sono sviluppate fino a dar vita a degli embrioni. Nessuno di loro è sopravvissuto più di qualche giorno, ma l’analisi del loro DNA ha confermato che nel loro patrimonio genetico era presente materiale proveniente dalla rana scomparsa.

“Stiamo osservando Lazzaro resuscitare un passo dopo l’altro” ha commentato Archer. “Abbiamo riattivato cellule morte e riportato in vita il DNA di una specie estinta e ora lo abbiamo a disposizione per futuri tentativi di clonazione”. I campioni di Rheobatrachus silus sono stati prelevati da animali crioconservati fin dal tempo della loro scomparsa.

L’APPETITO VIEN CLONANDO. In una recente Ted Conference dedicata al progetto Lazarus, i cui risultati sono però ancora in attesa di pubblicazione, Archer ha confermato il suo crescente interesse nel voler applicare questa tecnica di clonazione anche a mammiferi ormai estinti, primo tra tutti la tigre della Tasmania. Il progetto di Archer ha scatenato il dibattito nella comunità scientifica internazionale e le proposte di “de estinguere” animali e piante gli sono arrivate da tutto il mondo: al momento i più richiesti sono il mammuth, il dodo, l’ara rossa di Cuba (un pappagallo estinto alla fine dell’800) e il moa gigante della Nuova Zelanda, un colossale uccello alto più di 3 metri scomparso nel ‘700.

Le copie di alcuni geni dell’animale preistorico sono state inserite in cellule di elefante in laboratorio. Ma la strada per riportare in vita il gigante estinto è ancora lunga.

La corsa alla clonazione di un estinto gigante lanoso, il mammut, si arricchisce di un tassello: alcuni scienziati dell’Università di Harvard sono riusciti a inserire frammenti del DNA dell’animale preistorico nel codice genetico di un moderno elefante. Non di un pachiderma in carne ossa, ma di alcune sue cellule alloggiate in una piastra di Petri, un recipiente da laboratorio. Fino a questo momento, le cellule sembrano essersela cavata bene.

FREEZER NATURALE. La notizia, ancora non supportata da pubblicazioni scientifiche, arriva da George Church, stimato professore di Genetica dell’Università di Harvard (Massachusetts), esperto di tecnologie genetiche. Church ha raccontato il suo lavoro al settimanale britannico The Sunday Times. Insieme ai colleghi ha estratto il DNA dai resti di un esemplare di mammut preservati nel permafrost di Wrangel Island: su quest’isola nell’Oceano Artico sono sopravvissuti gli ultimi mammut del pianeta, scomparsi definitivamente intorno a 3300 anni fa (oltre 6.000 anni dopo l’estinzione delle altre popolazioni di mammut).

SOLO ALCUNI GENI. Church e colleghi hanno creato l’esatta copia sintetica di 14 geni del DNA estratto: «Abbiamo dato la precedenza a quelli associati alla resistenza al freddo, inclusi quelli per la pelosità, la taglia delle orecchie, il grasso subcutaneo e, specialmente, l’emoglobina». La proteina contenuta nel sangue, e responsabile del trasporto dell’ossigeno al resto del corpo, avrebbe aiutato i mammut a sopravvivere alle rigide temperature artiche.

TAGLIA E CUCI. Gli scienziati hanno inserito i geni così creati nelle cellule di un elefante asiatico, il parente più prossimo dei bestioni estinti. Hanno utilizzato un sistema di modifica del DNA chiamato CRISPR (clustered regularly interspaced palindromic repeats), una tecnica di splicing (ossia di “montaggio”) del genoma che permette di intervenire in punti ben precisi del codice genetico, togliendo parti del DNA moderno per rimpiazzarle con le copie dei geni preistorici.

Clonazioni, ricostruzione del DNA, incroci: alcuni scienziati stanno provando a riportare in vita animali estinti. I mammut e non solo.

LUNGA STRADA. «Abbiamo ora cellule di elefante funzionante con DNA di mammut all’interno – dice Church – non abbiamo ancora pubblicato la ricerca su una rivista scientifica perché c’è ancora molto lavoro da fare. Ma è nei nostri programmi». Da qui alla replicazione del processo “in loco”, magari nella cellula uovo di un elefante (per poter ottenere un elefante con alcune caratteristiche fisiche dei mammut) il salto è grande. E non privo di implicazioni etiche, ben riassunte da Alex Greenwood, biologo del Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research negli USA.

TROPPO IN LÀ. «Stiamo andando incontro alla potenziale estinzione degli elefanti asiatici e africani – ha detto Greenwood in un intervento sul Telegraph – perché riportare indietro un altro elefantide dall’estinzione, quando non riusciamo a tenere in vita quelli che abbiamo già? Qual è il messaggio? Che possiamo essere irresponsabili con l’ambiente quanto vogliamo, al massimo lo cloniamo di nuovo?».

[Focus.it]

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