E se la realtà fosse solo un Universo Simulato al Computer?

E se tutto – noi, il mondo, l’universo – non fosse reale? Se tutto ciò che siamo, sappiamo e speriamo fosse solo la simulazione al computer di qualcuno?

L’idea che la nostra realtà possa essere il frutto di un videogame di simulazione giocato da un ragazzino sul divano di casa sua, della quale noi siamo i suoi personaggi, in verità, non è del tutto nuova.

Ma ora, un gruppo di fisici crede di aver trovato il modo per verificare se questa idea ha un qualche fondamento o è solo una fantasia di gente appassionata di Simcity.

Martin Savage, professore di fisica presso l’Università di WashingtonZohreh Davoudi, uno dei suoi studenti laureati, e Sila Beane della University of New Hampshire, stanno cercando di capire se è possibile scoprire tracce di questa simulazione studiando i raggi cosmici presenti nel nostru universo. Il lavoro è stato pubblicato su  arXiv, un archivio online per le bozze di articoli di ricerca accademica.

L’idea che la realtà possa essere molto diversa da come ce la immaginiamo, ha radici molto antiche. Platone, filosofo della Grecia classica, con il suo mito della Caverna, voleva esprimere il fatto che la realtà che abbiamo sotto gli occhi è solo un’ombra sbiadita della vera natura delle cose.

Anche Renato Cartesio ha affrontato questo tipo di problema. Il suo “Cogito ergo sum” (Penso, quindi sono), nasce dall’esigenza di trovare un punto reale sul quale è impossibile dubitare. Siccome la realtà che abbiamo sotto gli occhi è mutevole ed è causa di dubbio, l’unica realtà sicura è il fatto che  “io penso” e che quindi “esisto”.

Poi, nel 2003, un filosofo britannico, Nick Bostrom, dell’Università di Oxford, ha pubblicato un documento che ha messo un vero tarlo nella mente di alcuni filosofi e informatici. Bostrom ha suggerito tre possibilità:

“Le probabilità che una specie intelligente abbia raggiunto e superato il nostro attuale livello di sviluppo tecnologico, tanto da sviluppare una simulazione di noi e del nostro universo, è del tutto trascurabile”; “quasi nessuna civiltà tecnologicamente avanzata e matura sarebbe interessata a sviluppare un universo al computer nel quale simulare le nostre menti”; “quasi certamente viviamo in una simulazione”.

Tutte e tre le possibilità potrebbero essere ugualmente vere, scrive Bostrom, ma se le prime due sono false, la terza è certamente vera. Il ragionamento del filosofo inglese nasce da fatto che in un futuro non tanto lontano, i nostri discendenti avranno la capacità di sviluppare simulazioni informatiche tanto complesse, così complesse da creare dei cervelli capaci di autocoscienza, e che sarà possibile programmare milioni di universi con miliardi di cervelli simulati al loro interno.

Le riflessioni di Bostrom sono nate dopo quattro anni dall’uscita del famoso film “The Matrix”, nel quale gli esseri umani scoprono di essere imprigionati in una simulazione prodotta da macchine malevoli. Ma ancora più vicino alle riflessioni di Bostrom è il film “Il tredicesimo piano”, nel quale i protagonisti scoprono di vivere in un universo simulato da un potente computer. Non c’è dubbio che la popolarità di queste pellicole abbia influenzato la riflessione di Bostrom.

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“Ha sistematizzato in modo logico queste idee ed è venuto fuori ciò che potrebbe essere probabile e ciò che potrebbe non esserlo”, dice Savage. Nei film e nella proposta di Savage, la scoperta che la realtà è frutto di una simulazione, arriva quando gli “errori del sistema” si presentano sotto gli occhi dei sims (noi), rivelando le imperfezioni della simulazione.

Savage e i suoi colleghi suppongono che i “nostri programmatori” utilizzino alcune delle stesse tecniche utilizzate attualmente dagli “scienziati simulati” per eseguire, a loro volta, delle simulazioni, con gli stessi vincoli. I “nostri programmatori” dovrebbero mappare l’intero universo su una griglia matematica, costituita da punti e linee. Si tratterebbe di un vero e proprio “ipercubo” composto da quattro dimensioni, tre per lo spazio e una per il tempo.

Un esempio in questo senso è offerto dalla “cromodinamica quantistica”, disciplica che esplora gli effetti della forza nucleare forte, una delle quattro forze fondamentali dell’universo, sulle minuscole particelle elementari come i quark e i gluoni. In questo approccio, le particelle sono in grado di saltare da un punto a un altro senza percorrere lo spazio tra i due punti, in maniera istantanea.

A livello cosmico, invece, l’universo si presenta come un continuum spazio-temporale e simulare un unverso del genere richiederebbe ingenti risorse hardware, quindi è probabile che il programmatore del nostro universo, per creare una simulazione più snella, abbia camuffato l’istantaneità delle particelle elementari, sotto le mentite spoglie di un continuum spazio-tempo.

Poichè Savage e i suoi colleghi danno per scontato che i simulatori usino un approccio simile al nostro, credono di poter trovare le prove della simulazione studiando il comportamento delle particelle ad altissima energia dei raggi cosmici: “Tutto il nostro universo sembra come se fosse in un continuum spazio-tempo”, spiega Savage. “Ma non ci sono prove per dimostrarlo. Noi siamo alla ricerca di qualche elemento che indichi che non il nostro universo non dispone di un continuum spazio-temporale”.

In effetti, Savage e colleghi, cercano un qualche “errore” nel comportamento dei raggi cosmici, i quali, se viaggiano lungo una griglia rettilinea è improbabile che ci troviamo in una simulazione, ma se presentano “deviazioni” in diagonale, la realtà nella quale ci troviamo potrebbe essere un programma per computer.

Argomenti contro la simulazione

La prospettiva nella quale si sono avventurati Bostrom e Savage è sicuramente affascinante, ma anche del tutto inquietante. Cosa potrebbe significare per noi scoprire di essere esseri simulati in una neuroprogrammazione? La nostra vita “simulata” avrebbe lo stesso valore di quella reale? Qual è lo scopo della nostra esistenza?

Primo: perchè creare un intero universo?

Se siamo frutto di una simulazione, allora perchè creare un intero universo? Non sarebbe stato più facile creare un micromondo (la Terra) senza sprecare intere linee di programmazione e ingenti risorse hardware per far funzionare miliardi di miliardi di miliardi di sistemi stellari organizzati in galassie?

Secondo: perchè un universo limitato?

Avendo voluto creare miliardi di stelle sul nostro capo, le quali suscitano in noi il desiderio di raggiungerle, perchè mai imporre il limite invalicabile della velocità della luce che ci impedisce di esplorare questo immenso spazio simulato? Non sarebbe stato più “divertente” consentorci di aggirarci per il cosmo e di impiantare numerose colonie ovunque?

Terzo: perchè un universo vuoto?

Tutto questo sforzo di programmazione per fare di noi le uniche “menti simulate” di tutto il cosmo? Perchè non ci sono altre forme di vita simulate intelligenti? Perchè solo noi in questo immenso vuoto simulato?

Quarto: perchè il male?

Perchè il programmatore del nostro universo simulato avrebbe previsto le malattie, le catastrofi, la morte? Non era più facile creare un universo senza “problemi” da risolvere? E perchè siamo liberi di scegliere, cioè, perchè non eseguiamo un programma predefinito come gli altri animali (il cane non può non essere cane, mentre l’uomo può decidere di non essere uomo”)?

Quinto: la coscienza

Uno dei grandi misteri della scienza attuale è la coscienza, cioè la consapevolezza di se stessi e le domande che ne seguono: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, cosa c’è dopo la morte. E’ possibile programmare una realtà tanto complessa e misteriosa come la coscienza?

E se pure fosse, perchè mai il “programmatore” ci avrebbe fornito la capacità di porci le “domande esistenziali”, fino a scoprire di essere parte di una simulazione informatica? A queste domande cerca una risposta la teoria biocentrica.

La natura della realtà

La vera sfida non è tanto capire la “natura” dell’Universo, che potrebbe pur essere di tipo informatico. Il problema è capire qual è lo scopo della vita. Dire che l’universo è “olografico”, o “informatico” o di “pasta frolla” è solo un modo per descrivere in categorie a noi comprensibili il modo di funzionamento della realtà.

Dire però come funzione l’universo, cioè di cosa sia fatto e come va avanti, non significa spiegare “perchè ci sia un universo”. Questa mi sembra la domanda più radicale e fondamentale della vita umana.

Anche se scoprissi che l’universo nel quale vivo è frutto di una “griglia ipercubica” programmata al computer, ciò non inibirebbe la domanda esistenziale sul “perchè” della mia esistenza e sul suo valore. La vita umana è troppo una cosa seria per essere una semplice simulazione informatica. Buona ricerca navigatori!

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