Biologa italiana scopre il bruco che mangia la plastica

Così è nata per caso la mia ricerca. Ha visto i vermi forare in poco tempo un sacchetto di polietilene, materiale che in natura si smaltisce in più di 400 anni. Ora si potrà individuare l’enzima o il batterio che fa digerire alla larva la sostanza inquinante.

Biologa italiana scopre il bruco che mangia la plastica: "Così è nata per caso la mia ricerca"
Federica Bertocchini, ricercatrice italiana del Cnr spagnolo

Il trilione di borse di polietilene (PE) che usiamo ogni anno – intasando le discariche e contribuendo all’aggregazione di isole di plastica in mezzo agli oceani – potrebbe aver trovato la giusta nemesi: un bruco dall’aspetto innocuo, ma assai vorace di quella sostanza così indigesta e letale per tutti gli altri animali. E’ la larva della Galleria mellonella, detta tarma della cera per la sua propensione a cibarsi dei favi. Ad accorgersi che per questo animaletto la plastica è un boccone prelibato è stata una ricercatrice italiana in biologia molecolare, Federica Bertocchini, affiliata al Cnr spagnolo e oggi all’Istituto di biomedicina di Cantabria, a Santander. “Io in realtà mi occupo di biologia dello sviluppo: studio gli embrioni. La scoperta del bruco mangiaplastica è avvenuta per caso. Ho l’hobby dell’apicoltura, e l’abitudine – in inverno – di tenere gli alveari vuoti in casa. Nel tirarli fuori per la primavera, l’anno scorso mi sono accorta che erano pieni di questi bachi. Così li ho ripuliti, raccogliendo i bachi in una borsa di plastica. Qualche ora dopo era già piena di buchi e le larve libere” spiega Bertocchini, che ha pubblicato il suo studio su Current Biology insieme a Paolo Bombelli e a Chris Howe, entrambi biochimici dell’Università di Cambridge.

“Paolo ed io ci eravamo conosciuti quando facevamo ricerca allo University College di London, e abbiamo sempre avuto un interesse comune per la biodegradazione delle sostanze inquinanti, in particolare la plastica, dannosa per gli animali e al tempo stesso insostituibile in biomedicina, elettronica, industria alimentare. Così dopo il momento “Eureka!” davanti alla busta distrutta, gli ho chiesto di partecipare alla ricerca”.

Il bruco all’opera

La prima domanda che i ricercatori si sono fatti è: come riesce la G. mellonella a mangiare la plastica? “Sono animali che si cibano della cera d’api. E la cera è un ricco complesso di molecole diverse, che però contiene un legame analogo a quello che sostiene la robusta struttura molecolare del polietilene: una catena di atomi di carbonio che si ripete” spiega la biologa. “Quindi, dal punto di vista evolutivo, ha senso che il baco riesca a nutrirsi di plastica”. Il meccanismo metabolico preciso sarà oggetto di un prossimo studio. “Per ora con i nostri esperimenti abbiamo capito che la degradazione della plastica non avviene solo per la semplice azione masticatoria – e quindi meccanica – del baco, ma proprio per un processo chimico” aggiunge Bertocchini. “Abbiamo infatti spalmato sul polietilene un impasto di G. mellonella , notando che la degradazione ha luogo”. Da un’analisi chimica più approfondita si potrà scoprire l’enzima o il batterio antiplastica nascosto nel sistema digestivo della larva.

Immagine correlata
Anche la bellezza delle isole più remote viene deturpata dai rifiuti di plastica

L’incertezza deriva anche da una scoperta del 2016: un batterio isolato da scienziati del Kyoto Institute of Technology, l’I deonella sakaiensis , capace di degradare un polimero simile, il polietilene tereftalato (PET) grazie a due enzimi. Che un processo biologico simile sia anche il segreto della tarma della cera? La voracità è molto diversa: “L’Ideonella distrugge 0,13 milligrammi di PET per centimetro quadro al giorno, il nostro baco, invece, una quantità quasi doppia di PE ogni ora” spiega Bertocchini.

Risultati immagini per isle plastic pollution
Gli animali marini sono i primi a subire le conseguenze dell’inquinamento da plastica

Applicazioni concrete della ricerca? “Per realizzare una discarica eco-sostenibile ci servirà l’agente che degrada la plastica estratto dalle larve, e non quantità enormi di larve vive: anche perché sono dannose per le api, già in declino mondiale” conclude la biologa. A proposito di precauzioni “verdi”: un problema sul tavolo è il residuo di questi allegri banchetti di polietilene: “Nel campione di plastica, dopo il trattamento biologico, restano minime tracce di glicole etilenico (sostanza tossica usata negli anticongelanti, ndr)” racconta Paolo Bombelli. “Per ora ci siamo concentrati nello “smontare” il polimero. Il passo immediato ora sarà concentrarci a “rimontarlo” in qualcosa di utile o comunque totalmente innocuo”.

[www.repubblica.it]

 

1,759 Visite totali, 1 visite odierne

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.